Quando ti aspettavo ho deciso di voler imparare a fare il purè. Quello vero, non quello in bustina, istantaneo, del supermercato. Era una cosa da “piccoli”, a tutti i bimbi piace il purè, così ho provato e riprovato, googlato tutte le possibili ricette fino a quella che mi è sembrata la migliore e l’ho tenuta da parte per quando saresti stata abbastanza grande da potertelo gustare.
Quando poi sei stata abbastanza grande da poterlo mangiare, a te il purè faceva schifo.
Quando ti aspettavo ho comprato tanti libri di fiabe che non vedevo l’ora di leggerteli.
Non ti è mai piaciuto che te li leggessi.
Oggi che sai leggere vuoi farlo tu, da sola, io devo solo essere lì nel caso non capissi qualcosa. Anche se hai imparato a usare il dizionario e quando trovi una parola nuova te la cerchi.
La prima volta che ti ho visto mi hanno colpito i tuoi occhi all’insù. Tanto che la prima cosa che ho chiesto all’infermiera, una volta in camera e con te tra le braccia, pulita e profumata, è stato se per caso avessi la Sindrome di Down.
In fondo avevo deciso di non fare villocentesi o amniocentesi, per cui chissà, magari…
Gli occhi sgranati dell’infermiera mi hanno rassicurato: io ero scema e tu sana.
Poi avevi l’orecchio sinistro arrotolato, buffo e tenero insieme, una piccola testimonianza di quei quasi nove mesi dentro di me.
Eri piccola, due chili e qualcosa per 45 cm.
Ero talmente stordita dalla meraviglia di averti finalmente tra le braccia, il giorno in cui sei venuta al mondo, che sono rimasta per ore a guardarti dormire stretta a me.
Quando l’infermiera si è affacciata al nostro lettino mi ha chiesto: – Come va?
– Benone, ho risposto io, e lei: – Mangia?
Uh, cavolo! Avevo completamente dimenticato di attaccarti al seno! Oddio, da quante ore eri nata? Quanto tempo potevi stare senza nutrirti, prima di morire?
Panico e prima dimostrazione che quando mi dicono “ma che brava mamma sei!” non sanno quello che fanno.
Fin da subito sei stata chiara: di attaccarti al seno non ne volevi sapere. Le ho provate tutte, ma niente, il biberon era molto più semplice, perché fare tutta quella faticaccia?
Eh, brava, ma che ne era delle immagini di dolci mammine che allattano mentre guardano sognanti i loro piccoli e li nutrono di latte e amore? Possibile che me le mandavi tutte a farsi benedire per quella, decisamente meno romantica, di me coi capelli spettinati, occhiaie e borse, di notte, di giorno, di mattina presto, chiusa in bagno, attaccata ogni due ore a un tiralatte elettrico, come una mucca? Mentre versavo il mio latte nei biberon pensavo “è quello della Laura!”, parafrasando la famosa pubblicità, e mi veniva da ridere, ma era un sorriso stanco e tirato. Tanto che dopo soli 6 mesi ho deciso di smettere di dartelo, ma in quei sei mesi ho capito che una mamma serena ti faceva più bene del latte materno.
A un anno e mezzo ti sei riempita i capelli di crema per il culetto e hai riservato lo stesso trattamento al gatto. Ti ho portata in giro per almeno 15 giorni con i capelli coperti da cappelli e bandane, tanto il tempo che ha impiegato quella maledetta crema a venir via.
Otto anni, oggi.
Hai scelto otto candeline colorate, invece che una a forma di otto. C’è più gusto a soffiarci, mi hai detto, e hai ragione. Anche se poi hai aggiunto che io dovrò optare per quelle con il numero, dati i miei anni e che forse non avrò abbastanza fiato per spegnerle tutte. Sono stata io a insegnartelo, lo so, che l’amore che vuoi a qualcuno è più bello se lo colori di prese in giro che fanno ridere. E tu mi fai tanto ridere.
Quando giochi a calcio con i maschi e li lasci a bocca aperta, quando ti fai diversi metri sott’acqua in piscina senza saper nuotare e io sto col fiato sospeso fino a che non riemergi e mi fai ok con il pollice.
Quando, ora che sei iscritta al corso di nuoto, mi hai chiesto dopo quante lezioni puoi diventare maestro di nuoto.
Quando mi hai detto che era un mestiere bellissimo quello di vendere granatine sulla spiaggia, quando mi fai arrabbiare e mi dici che ti faccio pena perché mi arrabbio per colpa tua.
Quando il dentista ti ha regalato il braccialetto col simbolo dell’infinito e mi hai detto che otto anni devono essere bellissimi, se l’infinito ha la stessa forma di un 8.
Auguri, Gaia, vorrei dirti tante cose, ma non serve, ti dirò solo una cosa. La stessa che ti dico sempre, da sempre e che trovo sia una delle frasi più piacevoli da sentirsi rivolgere:
“Non è mai la fine del mondo”.
Quando piangi, quando sei preoccupata, quando sei triste, quando sei pensierosa, quando sei spaventata.
“Non è mai la fine del mondo”.
Tienilo a mente. Sarà tutto più leggero.
Anche se un po’ il mondo, il tuo mondo, dovesse crollare, non sarà mai, mai, la fine del mondo.
Buon compleanno, puzzona, soffia su quelle otto candeline felice, ché hai ragione tu, otto anni devono essere davvero bellissimi, se l’infinito ha quella forma.