Nella seconda vita ho fatto l’operaia. Mi ero appena trasferita in un’altra regione e fu il primo lavoro che l’agenzia mi trovò. “Accetta?”, certo che sì, non era il caso di fare la schizzinosa, c’era da ricominciare tutto daccapo, e quello era un buon modo di ripartire: lavorare.
Una grande realtà della zona, fabbricavamo cappe da cucina e io mi presentai felice, entusiasta e in anticipo il primo giorno di lavoro.
Mi diedero un camice verde, dal tessuto pesante, dei guanti e un signore molto alto e robusto che non si presentò mi disse: “Tu sei quella dell’agenzia?”, io sorrisi e annuii, e lui continuò: “Hai già fatto l’operaia a catena?”. D’istinto pensai a un cane legato ed ebbi un brivido, scacciai quest’immagine e risposi di no. Lui bestemmiò tra i denti e imprecò “Ma perché ce le mandano tutte così, perché?”
Mortificata, abbassai lo sguardo e lo seguii. Vabbè, può solo andare meglio, mi sforzavo di pensare.
Mi posizionò lungo una linea di produzione, la 10, tra due signore più grandi di me. Nessuna presentazione, solo: “Questa è dell’agenzia, vedete di non perdere troppi spazi”.
Gli spazi erano segnati sul nastro trasportatore, due linee gialle entro le quali andava messa la cappa, o pezzi di essa, e non bisognava lasciarne nemmeno uno vuoto, altrimenti la produzione ne perdeva. Avevo due avvitatori, uno a pistola, appoggiato a una specie di tasca lungo la linea, e uno dritto, che pendeva sopra la mia testa. Non ne avevo mai usato uno. Non sapevo nemmeno come bisognasse prenderlo. Peraltro uno era alla mia destra, e io sono mancina, l’altro, quello a mo’ di spada di Damocle, era troppo alto per il mio metro e poco di più. Niente paura. Una delle due signore mi spiegò cosa dovevo fare, e dopo 8 ore, diverse dita bucate e svariate sgridate da parte del signore alto e robusto (il responsabile del reparto), imparai.
Poco, inizialmente, e sull’autobus verso casa, quello delle 22.10, che per prenderlo dovevo scattare come una saetta al suono della sirena di fine turno, che se lo perdevo non ce ne erano altri, finalmente mi lasciavo andare allo schienale e guardavo il buio fuori dal finestrino.
La notte, i primi mesi, sognavo rondelle e viti, ma in poco tempo scoprii tutti i trucchi per non “spanare” le viti, chiesi ed ottenni di avere l’avvitatore a penzoloni un po’ più in basso e imparai a usare l’avvitatore a pistola con la mano destra, perché quello non si poteva cambiare, mi fu risposto.